A Locana il Console della Bosnia Erzegovina racconta la prigionia del nonno

A Locana il Console della Bosnia Erzegovina racconta la prigionia del nonnoLOCANA – È stato un 25 aprile speciale quello di quest’anno per Locana.
Accanto alle Autorità Comunali, al Sindaco Giovanni Bruno Mattiet, al Sindaco di Sparone Anna Bonino e al Vice Sindaco di Alpette Laura Blessent in rappresentanza dell’Unione Montana Gran Paradiso, agli Alpini, ai rappresentanti dei Gruppi e delle Associazioni e a tutti gli intervenuti, c’era il Console Generale della Bosnia Erzegovina Igor Babić.
Era già venuto in Canavese qualche mese fa perché, quand’era ragazzino, il nonno paterno, Vojin, amava raccontargli una di quelle storie di guerra che una volta i bambini erano soliti ascoltare in famiglia, crescendo. Era il modo appassionante attraverso il quale le generazioni passavano il testimone della propria storia.
Vojin Babić era stato fatto prigioniero nel 1941 dalle truppe italiane durante l’occupazione del Regno Jugoslavo, era stato tradotto in Italia con altri connazionali ed era giunto a Locana a lavorare per l’A.E.M. alla costruzione del tratto d’impianto Bardonetto-Pont «Era un contesto di guerra, difficile – ha raccontato il Console nel suo intervento – eppure della sua permanenza a Locana, mio nonno non ha mai raccontato un’amarezza, un dispiacere. Anzi, mi raccontava come la gente fosse disponibile ad aiutare, rendendo meno dura la prigionia, prima, e la vita in fuga poi, dopo l’armistizio. In questo modo ha seminato in me il desiderio di venire a Locana, per vedere i luoghi e le montagne che mi descriveva.»
A Locana, dal gennaio 1942, era attivo il campo di prigionia PG 127: venne occupato da 196 greci, fino al maggio successivo, e da 100 slavi, dal luglio dello stesso anno all’8 settembre 1943. Si trovava presso le Casermette di Piazza Gran Paradiso e, in occasione della celebrazione del 25 aprile, l’Amministrazione Comunale vi ha affisso la targa che ne ricorda la storia: i prigionieri, ma anche il suo comandante, il capitano Vincenzo Sacchi, e l’interprete dei greci, il sergente maggiore Renato Moro che, di origini varesine, è divenuto dopo la guerra cittadino locanese.
L’assessore Silvana Cavoretto l’ha ricordato tracciandone un articolato profilo: dalla nascita ad Istanbul, dove il nonno impresario aveva posto per lavoro la sua residenza e dove era nato anche suo padre, all’arruolamento nell’Esercito Italiano allo scoppio del conflitto, alla sua funzione di interprete presso i prigionieri greci, perché a conoscenza della lingua che aveva appreso dalla mamma.
Alla commemorazione era presente a ricordo del padre la figlia di Renato Moro, Silvana. Lei e Igor Babić hanno scoperto la targa mentre la banda di Sparone ha suonato l’Inno nazionale.

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