Il trapianto da donatore vivente: un’opportunità preziosa, ma sottoutilizzata

Il trapianto renale nel corso di questi ultimi venti anni è andato incontro, anche nel nostro Paese, ad una favorevole  evoluzione sia dal punto di vista dell’incremento numerico annuale che dal punto di vista dei risultati clinici. È bene ricordare che agli inizi degli anni  ‘90 eravamo il fanalino di coda in Europa per quanto riguardava le donazioni (6,2 donatori /pmp) mentre da oltre un decennio  ci poniamo, grazie anche al formidabile sostegno del Centro Nazionale Trapianti, fra le nazioni più  attive in questo settore con oltre 1500 trapianti renali eseguiti ogni anno
La  Regione Piemonte, in particolare, ha assunto da decenni una posizione di primo piano in questo settore della Sanità in quanto i 3 centri piemontesi (Torino-Molinette, Torino OIRM-S. Anna, Novara-O. Carità) che corrispondono al 7% dei centri italiani, eseguono l’11% dei trapianti  renali complessivamente realizzati ogni anno  nel nostro Paese.
Il centro “A. Vercellone” delle  Molinette,  A.O. Città della Salute e della Scienza, ha realizzato dal 1981 fino ad oggi oltre 2700 trapianti renali  e dal 1995 è il centro italiano più attivo  per quanto  riguarda  l’attività annuale (112 Tx  nel 2012). Anche per questo  nel  2012, le Molinette hanno ricevuto il riconoscimento  da parte del Ministro della Sanità come Ospedale Italiano più  attivo nel settore trapianti d’organo.
Il centro di Novara,  di più recente attivazione in quanto operativo dalla fine degli anni ‘90, ha eseguito oltre 870 trapianti renali e resta sempre anch’esso, ogni anno, sul podio dei centri italiani più attivi o in sua  stretta  prossimità.
Nonostante questi dati  complessivamente positivi la sperequazione fra richiesta di trapianti (oltre 7000 pazienti in lista di attesa agli inizi del 2012 in Italia) ed offerta (meno di 1600 trapianti nel 2012) resta elevata; le attese, quindi,  non sono trascurabili e l’impatto di una protratta permanenza in dialisi sulla qualità  di vita resta  disturbante.
Queste criticità, che sono comuni a tutti i Paesi, hanno reso sempre più realistica la necessità di rivedere l’opzione trapianto da vivente che costituisce per molti aspetti una potenzialità preziosa sia sul versante della disponibilità dell‘offerta che della qualità dei risultati clinici.
Emblematico l’esempio della Spagna , la nazione che vanta il maggior numero di donatore deceduti al mondo, che preso atto dell’impossibilità di far fronte alle richieste della lista di attesa  con solo quel tipo di donazione,  ha rapidamente sviluppato programmi di trapianto da vivente inizialmente  ritenuti superfui.
Anche l’Italia, pur risentendo  ancora di una posizione di retroguardia eredità degli anni passati (tab 1-LD/pmp), è sempre più impegnata nello sviluppo di questo prezioso modello di cura che offre una serie di vantaggi al paziente sia singolarmente inteso che come comunità.
Il trapianto da donatore vivente infatti:
1)    permette di programmare il trapianto con margini temporali tali da poter essere eseguito senza la necessità di avviare il trattamento dialitico, il cosiddetto trapianto preventivo. Ciò significa evitare tutte le procedure medico-chirugiche inevitabilmente  necessarie per avviare il trattamento dialitico (accesso vascolare o catetere peritoneale),  consentire  al paziente una migliore continuità socio lavorativa (la degenza richiesta da un trapianto standard  è di circa 3 settimane, e richiede un interruzione della  propria attività, quando non di tipo usurante,  assimilabile ad un periodo di ferie estive), previene eventuali possibili danni correlati con  un prolungato stato di insufficienza renale cronica che anche la miglior  dialisi non può del tutto evitare
2)    garantisce migliori probabilità di successo rispetto al trapianto da donatore deceduto  in quanto utilizza un rene  proveniente da un donatore in perfetta forma fisica (prerequisito essenziale per la donazione) e minimizza, per la contemporaneità del prelievo-trapianto,  i tempi di conservazione del rene, la cosiddetta ischemia fredda: nel trapianto da donatore vivente,  si tratta di pochi minuti, in quello da donatore deceduto, inevitabilmente, di ore (mediamente 15-19 ore). Per quanto riguarda il rigetto acuto,  nei rari  casi di identità genetica (gemelli  monocoriali, fratelli HLA identici, donatori di midollo e rene) questo tipo di complicazione è praticamente assente. In tutte le altre combinazioni il rischio   non  differisce  statisticamente rispetto a quanto si osserva nel trapianto da donatore deceduto né  come frequenza né come risposta al trattamento.
3)    la possibilità infine di poter affrancare dalla dialisi un paziente senza attingere al pool dei  donatori deceduti permette un reale ampliamento delle possibilità di trapianto per chi, invece,  non dispone di un donatore  vivente.
La  crescente evidenza di questi vantaggi ha comportato anche in Italia  un trend di incremento del trapianto da donatore vivente come testimoniato dall’andamento degli  ultimi 10 anni ed è probabile che anche i dati del 2012, ancora non disponibili, confermino questa progressione.
Tenendo conto tuttavia delle esperienze osservate in altre nazioni a noi vicine per cultura e modelli di assistenza sanitaria è verosimile vi siano ancora consistenti  margini di miglioramento.
Il Centro  Regionale Trapianti  Piemonte e Valle d’Aosta (Dir. Prof A. Amoroso), il Centro Trapianti Renali di Torino ( Dir.  Prof  L.Biancone) ed il Centro Trapianti di Novara (Dir. Prof P. Stratta) hanno investito crescenti risorse scientifiche ed organizzative in questo tipo di programma come testimoniato dal bilancio dell’attività complessiva : 112 trapianti  da vivente  (26 % prima della dialisi)  eseguiti alle Molinette e 39 (52% prima della dialisi) a  Novara .
Dagli inizi degli anni 2000 tutti i prelievi del rene donato sono avvenuti con la tecnica laparoscopica  al fine di alleviare e ridurre il più possibile i disagi del donatore (degenza più breve, minor necessità di analgesici , minor danno estetico).
Particolare attenzione è stata posta infine, nel garantire a tutti i donatori, al cui atto di generosità si deve l’opportunità dell’avvenuto trapianto,  il sostegno di una assistenza medica  negli anni a seguire l’atto donativo.
Al fine di implementare ulteriormente l’utilizzo di questa preziosa alternativa terapeutica sono state anche  messe in atto nuove iniziative sia sul versante organizzativo che su quello più strettamente clinico.
Il Centro Regionale Trapianti (CRT) in stretta collaborazione con la maggioranza dei Centri di Nefrologia e Dialisi del Piemonte si è fatto capofila di un nuovo modello organizzativo che prevede la presa in carico del paziente in avanzata insufficienza renale da parte di un equipe multidisciplinare, della quale fa parte anche uno psicologo, al fine  di fornire dettagliate e corrette informazioni sul ventaglio di opzioni terapeutiche disponibili (emodialisi, dialisi peritoneale, dieta,  trapianto renale nelle sue differenti tipologie).
In tale contesto, nell’ambito dei pazienti  che si orientano verso il trapianto renale, la tempestiva individuazioni di quelli che dispongono di un potenziale donatore vivente potrà  facilitare una programmazione che permetta di evitare  la necessità dell’immissione in dialisi.
Notevoli progressi   sono stati ottenuti  anche sul piano  strettamente clinico.
Circa il 25% degli individui disponibili a donare un rene ad una persona cara trovava fino a pochi anni or sono un ostacolo insormontabile nella incompatibilità di gruppo sanguigno, situazione che, come preclude la trasfusione, rendeva impraticabile il trapianto d’organo.
Attualmente sono disponibili due procedure che permettono di superare questo ostacolo.
La prima è rappresentata dal programma nazionale di cross-trapianto che si basa sulla centralizzazione presso  il Centro Nazionale Trapianti di un profilo genetico-clinico di tutte le coppie donatore–ricevente che si trovano in questa situazione. La combinazione incrociata  nell’ambito delle coppie registrate (vedi figura) permette di assicurare ad ogni ricevente un rene da un donatore di  gruppo sanguigno compatibile.
La seconda si basa sulla possibilità di rimuovere dal sangue del ricevente gli anticorpi diretti contro il gruppo sanguigno del donatore. La procedura prevede l’utilizzo di colonne di uno speciale materiale in grado di adsorbire selettivamente tali anticorpi nel corso di sedute di circolazione extracorporea  su apparecchiature dedicate.
Quando il tasso anticorpale scende al di sotto di  un valore soglia, il trapianto può essere eseguito con risultati del tutto sovrapponibili a quelli di un trapianto standard. L’unico problema è il costo della procedura (15-20.000 euro), ma in realtà il  problema non sussiste  se si tiene conto che  il costo del trapianto, pur con questa spesa aggiuntiva, resta sempre ampiamente inferiore, sul medio-lungo termine, a quella del trattamento dialitico.
Presso il centro “A. Vercellone” delle Molinette sono stati felicemente eseguiti con questa sofisticata metodologia già due trapianti ed è in preparazione una terza coppia.
In conclusione crediamo che l’opportunità del trapianto donatore vivente meriti un’attenzione particolare,  certamente maggiore di quella che ha ricevuto fino ad oggi.
Una migliore informazione può contribuire a farne meglio conoscere i vantaggi, risolvere i legittimi dubbi rimuovendo preoccupazioni immotivate .
I centri trapianti e lo  scrivente  restano a disposizione di chi  sia  interessato ad ulteriori dettagli (centro Molinette–Dr.ssa G. Tognarelli  011 6336307, gtognarelli@cittadellasalute.to.it , centro Novara – Dr.ssa  M.C. Barbè  0321 3733148,  ambtrapiantorene@maggioreosp.novara.it).
Prof. Giuseppe Paolo  Segoloni
Aff. Dipartimento .Scienze Mediche – SCU  Nefrologia Dialisi Trapianto, Università Torino
(giuseppe.segoloni@unito.it)

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