Rene: prevenzione e cura

Nel mondo una persona su dieci ha un danno renale, e spesso non lo sa o lo sa troppo tardi. In questi casi la malattia può procedere indisturbata verso la necessità di dialisi e di trapianto di rene, aumentando contemporaneamente il rischio di danni cardiovascolari gravi e potenzialmente mortali che oggi, come sappiamo, sono molto frequenti nei malati di reni.
All’allarme generato da questi dati si contrappone una certezza: gran parte delle malattie renali sono prevenibili e curabili, e la loro evoluzione può essere arrestata o rallentata. Anche i concomitanti danni cardiovascolari sono prevenibili e curabili.
Ma questo avviene solo se si interviene tempestivamente, cosa non facile dato il numero molto elevato di persone interessate. Il 10% della popolazione generale dei paesi industrializzati ha un danno renale: trasponendo questo dato alla nostra realtà, ciò significa che circa 5.000.000 di italiani e 370.000 cittadini della Regione Piemonte hanno un danno renale e un rischio di malattia renale progressiva.
Attualmente ogni anno nella nostra regione più di 700 persone raggiungono un grado di insufficienza renale potenzialmente mortale, che deve essere trattata con la dialisi (170 nuovi casi per milione di popolazione – pmp).
Il lavoro svolto negli ultimi decenni dai nefrologi piemontesi ha fatto sì che questo numero rimanesse stabile. È un risultato straordinario, se si considera che in molte aree del mondo e dell’Europa il numero di questi pazienti continua ad aumentare, in relazione all’invecchiamento della popolazione, ai danni conseguenti all’ipertensione arteriosa non ben curata e alle malattie del metabolismo, il diabete innanzitutto. Esso è frutto di una difficile battaglia che da decenni si combatte in Piemonte giorno per giorno, con grande impegno, e con un successo che ha un equilibrio delicato e instabile, condizionato essenzialmente dall’intensità e tempestività degli interventi terapeutici. Ed è bene ricordarlo in questo momento difficile: una riduzione degli interventi si accompagnerebbe certamente a un nuovo aumento della frequenza dei danni renali più gravi.
Anche in Piemonte non abbiamo almeno per ora raggiunto l’obiettivo di ridurre il numero di casi che arrivano ogni anno alla dialisi. Ci chiediamo quindi se i risultati ottenuti possono essere ulteriormente migliorati, raggiungendo anche questo obiettivo, che comporterebbe non solo un successo sul piano umano e su quello sociale, ma anche un’importante riduzione della spesa sanitaria. La risposta è affermativa, ma occorre tener presente che questa possibilità è subordinata a un incremento ulteriore dell’impegno di tutti: medici, amministratori, popolazione.
Per questo, anche in Piemonte, spesso considerato come un modello di organizzazione ed efficienza nella lotta alle malattie renali, ha un preciso significato la Giornata Mondiale del Rene, che si celebra quest’anno in oltre cento Paesi con lo scopo di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, degli amministratori pubblici e dei medici sull’importante problema delle malattie renali, sulla loro cura e sulla loro prevenzione.
Come nello scorso anno, la presente edizione speciale della Gazzetta del Canavese, pubblicata in occasione della Giornata Mondiale del Rene, raccoglie informazioni utili a una migliore conoscenza delle malattie renali croniche, affinché si possano prevenire e curare meglio, ricordando che il loro trattamento è tanto più efficace quanto è più precoce.

La Dialisi: una terapia che pesa come una condanna, da abbandonare il più presto possibile in favore del trapianto?
Il Piemonte si distingue in Italia per i risultati ottenuti nel campo dei trapianti. Il Centro Trapianti di Rene di Torino è il primo per numero di interventi. Il centro di Novara è tra i primi posti. Nella nostra Regione attualmente i pazienti con trapianto renale funzionante sono circa 2000. Nello scorso anno i trapianti di rene, in Piemonte, sono stati 174.
L’impegno è giustificato dal fatto che il trapianto di rene, da cadavere o da vivente, è il trattamento più fisiologico dell’insufficienza renale terminale, ed è quello che permette una vita davvero libera.
Ma purtroppo non è un trattamento per tutti: delle persone che ogni anno arrivano alla dialisi solo il 25–30% ha un’indicazione al trapianto renale, mentre la maggior parte (70-75% ) deve essere trattata a vita con la dialisi.
Per questo è necessaria una grande attenzione anche nei confronti di questo trattamento, non di rado considerato come una condanna da chi si dimentica che è una terapia salva-vita che consente anche un’ottima riabilitazione in un numero elevato di casi, nonostante i vincoli e l’impegno che richiede al paziente.
Per la collettività, l’onere per la dialisi, oltre che medico ed assistenziale, con necessità di medici e infermieri di notevole esperienza e in aggiornamento continuo, è anche economico; nel nostro paese la spesa annuale complessiva per la dialisi è di  2 miliardi di euro.
Nel corso degli anni, una serie di straordinari progressi tecnologici e clinici hanno consentito di ottenere dialisi sicure ed efficienti e di diversificare i trattamenti dialitici, che possono essere eseguiti in ospedale, in centri ad assistenza limitata o a domicilio.
A seconda delle caratteristiche cliniche e delle esigenze dei pazienti, si può ricorrere all’emodialisi, che comporta la depurazione del sangue al di fuori del’organismo, nel cosiddetto rene artificiale,
o alla depurazione eseguita nella cavità peritoneale grazie a scambi con uno speciale liquido di “lavaggio” (dialisi peritoneale). L’emodialisi può essere attuata in ospedale, o in centri ad assistenza limitata (per pazienti che non richiedono un’assistenza medica continuativa durante il trattamento), o addirittura a domicilio, affidata al paziente stesso e ad un suo partner dopo un opportuno addestramento.
Generalmente le sedute di  emodialisi sono tre alla settimana e durano ognuna 4 – 5 ore.
Gli scambi della dialisi peritoneale, che si esegue a domicilio, sono invece continui, con sostituzione manuale del liquido di lavaggio alcune volte al giorno, oppure automatica, con un’attrezzatura speciale, di notte.
Ciò che ci proponiamo ora è di trasformare i trattamenti “standard” in trattamenti molto personalizzati, sempre più adeguati alle diverse esigenze cliniche, sociali e lavorative delle singole persone. È un obiettivo al cui perseguimento operiamo da anni in Piemonte, secondo una tradizione consolidata.
Il Centro di  Ivrea segue circa 150 pazienti in dialisi e 90 pazienti con trapianto renale funzionante. E’ un impegno notevole, e non è tutto: sono infatti circa 200 i pazienti con un grado importante di insufficienza renale seguiti ambulatorialmente, e oltre 700 sono le persone afferenti all’ambulatorio dell’ipertensione arteriosa, dove si combatte anche il rischio della dialisi.

Il trapianto di rene da cadavere o da donatore vivente: una terapia abitualmente di successo.
Il trapianto da vivente consente migliori  probabilità di successo  rispetto al trapianto da donatore deceduto e può essere programmato nel momento più opportuno  prima dell’inizio del trattamento sostitutivo (si rimanda all’articolo del Prof.  G.P. Segoloni a pag 10).

Evoluzione delle malattie renali croniche: come si può arrestarle o rallentarle?
Il trattamento delle malattie renali croniche, specialmente quando sia precoce, può consentirne di guarire, o almeno di arrestare o rallentare il decorso del danno renale. Per questo motivo è di grande importanza sia la collaborazione tra i Medici di Medicina Generale e i Nefrologi, sia la valorizzazione di un’alleanza terapeutica tra paziente e sanitari; ciò rende possibile sfruttare al massimo le attuali possibilità terapeutiche, dietetiche e farmacologiche, intese a rimuovere le cause della malattia  e ad intervenire sulle numerose condizioni (alcune esse stesse possibili responsabili di malattie renali anche gravi) in grado di accelerarne l’evoluzione, indipendentemente dalla causa iniziale: l’ipertensione arteriosa, le dislipemie, l’iperuricemia, l’obesità, il diabete, le infezioni.

In questo nuovo scenario di terapia la dieta ha ancora significato?
Sino agli anni ‘70, la dieta era spesso l’unico modo per sopravvivere ed era perseguita fino allo stremo, per la scarsa disponibilità di posti per la dialisi. Si trattava quindi di un salvavita.
La disponibilità della dialisi per tutti ha cambiato questo panorama, portando ad anticipare l’avvio del trattamento dialitico e, spesso, ad abbandonare l’uso delle diete. Non è una scelta corretta, in quanto la dieta a basso contenuto proteico può rallentare l’evoluzione dell’insufficienza renale e, almeno in una buona parte di pazienti, può allontanare la dialisi.
In effetti, resta ampiamente valido il concetto classico che le proteine alimentari influenzino la funzione renale, non solo aumentando l’escrezione di cataboliti di origine proteica, ma anche e soprattutto modulando la stessa funzione renale, con una relazione diretta tra apporto proteico e funzione renale, tra restrizione proteica e riduzione del “carico di lavoro” sui nefroni residui.
Quindi: attenzione alla dieta, ricordando che le diete, che per abitudine continuiamo a definire come ipoproteiche, ma che sono organizzate in maniera molto complessa in relazione all’entità del danno renale e alle necessità metaboliche del singolo paziente, non sono necessariamente cattive. Le allieve e gli allievi del secondo anno del corso Operatore Servizi Ristorativi del Centro di Formazione Professionale C.IA.C. Centro Prat,  di Ivrea hanno dato una brillante dimostrazione di questo fatto preparando alcuni ottimi piatti dietetici speciali che verranno proposti alla fine del Convegno del 14 marzo a Ivrea.

Chi è interessato può scaricare le Ricette aproteiche della FIR dal sito della Fondazione Italiana del Rene (www.fondazioneitalianadelrene.org) e può avere degli schemi generali di dieta scrivendo alla dott.ssa Giorgina Piccoli (gbpiccoli@yahoo.it).

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