Il Tar Piemonte respinge il ricorso della centrale a biomassa Sipea contro il Comune di Rivarolo

Il Tar Piemonte respinge il ricorso della centrale a biomassa Sipea contro il Comune di RivaroloIl Tar Piemonte ha respinto il ricorso della centrale a biomassa Sipea contro il Comune di Rivarolo Canavese.
Sulla notizia arriva il commento dell’Associazione “Bon bruciamoci il futuro”.
L’impianto venne autorizzato dalla Provincia nel 2006. I lavori vennero però presto sospesi per il fallimento della Società Sipea e ripresero soltanto nel 2012 con l’acquisizione da parte della società Cofely controllata della francese GDF-SUEZ (oggi ENGIE).
Sul finire del 2012/inizio 2013 il Comitato “Non bruciamoci il futuro” (oggi Associazione NBF) organizzò una raccolta firme ed una prima grande manifestazione contro l’entrata in funzione di una Centrale a biomasse in centro città. Nel corso di alcuni sopralluoghi sollecitati dalla nostra Associazione, il Comune di Rivarolo guidato dalla allora Commissione Straordinaria ebbe a constatare che la società Sipea aveva realizzato alcune opere
senza la disponibilità giuridica delle aree essendo assoggettate ad uso pubblico (come stabilito dal’ art. 7 della Convenzione 14/5/2008 ed in attuazione della terza variante del Piano Particolareggiato Esecutivo, P.P.E. per l’area ex Vallesusa). In pratica per il Comune risulterebbe non conforme tutto quanto realizzato all’esterno del già esistente parallelepipedo storico e cioè: tutta l’enorme caldaia a biomasse, il deposito cippato e il suo sistema di movimentazione.
Contro il provvedimento del Comune (prot. n. 7719 del 27 maggio 2013) la società Sipea in data 25 luglio 2013 ricorre al TAR Piemonte per annullare tale provvedimento ed in via subordinata richiedendo i danni (54 milioni di euro, 21.462.341 euro per spese sostenute nella realizzazione della centrale + 32.687.000 per il mancato guadagno).
Ora che il ricorso Sipea è stato dichiarato inammissibile dal TAR Piemonte, occorre decidere se perseguire un accordo oppure ordinare la demolizione delle opere in questione. Rimane però il dubbio che se si fosse trattato di abuso edilizio di un qualunque cittadino, senza richiesta danni per 54 milioni, l’ordine di demolizione con sanzione e ripristino dei luoghi sarebbe probabilmente già partito.

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