Nursind: “Negli ospedali manca il personale ma la politica cura il sintomo e non la malattia”

“La crisi della carenza di personale infermieristico e delle sue specializzazioni se non affrontata organicamente e adeguatamente porterà inevitabilmente in poco tempo ad una crisi del sistema con ripercussioni importanti sul nostro sistema sanitario e sulla qualità dei servizi.”
Lo scrive in un nota Francesco Coppolella del Nursind Pienmone, il sindacato delle professioni infermieristiche.
“L’annunciata stabilizzazione da parte del CDM dei molti professionisti è di certo un provvedimento importante, da capire ancora come, chi e quando, per chi oggi vive una situazione di precariato. Servirà a non mandare in tilt gli ospedali nel breve periodo ma non risolverà il problema e le criticità a lungo termine, nel pubblico cosi come nel privato. Il problema è che gli infermieri non ci sono e quelli che ci sono non sono sufficienti.
Ci aspettavamo – continua il Nursind – un forte investimento nei percorsi formativi e un incentivazione rivolta ai giovani affinché potessero intraprendere la professione, sempre meno appetibile sia dal punto di vista salariale che delle condizioni di lavoro.
Ci aspettavamo un segnale sul fronte degli stipendi sventolata più volte nei periodi più cupi della pandemia che desse un segnale a chi già svolge questa professione e sta pensando di abbandonarla e a chi vuole intraprenderla.
Non si può pensare di lasciare ancora a lungo nelle corsie persone di 60 anni. Una riforma ed una riorganizzazione del sistema sanitario non può basarsi su questo. Il personale infermieristico ha una età media altissima a cui segue per forza di cose una percentuale altissima di limitazioni fisiche oltre che psicologiche, specie dopo la pandemia.
Inutile pensare di risolvere il problema dei pronto soccorso – continua il comunicato – pensando di aggiungere nuovi letti se poi non c’è personale che se ne possa occupare. Letti che già sono stati ridotti proprio per la grave carenza di personale creando ulteriori criticità. Luoghi di lavoro dai quali molti vogliono scappare mentre tempo fa era motivo di orgoglio poterci lavorare.
Inutile ripeterci che serve una riforma che deve partire da risposte importanti sul territorio che oggi sono sempre state compensate dalla rete ospedaliera, che il numero di accesi in pronto con codici di bassa priorità continua ad essere elevato, se non ci sono investimenti sul personale e una riorganizzazione della medicina territoriale.
Le regioni – conclude Coppolella – dovrebbero farsi sentire e dire chiaramente che la situazione potrebbe raggiungere livelli di criticità importanti nei prossimi anni.
Se lo stato non risponde la Regione Piemonte deve trarne le conseguenze e pensare ad un sistema di welfare che possa trattenere gli infermieri nei nostri ospedali e attirarne di nuovi.
Serve un piano di investimenti e delle proposte concrete che incentivino il personale a continuare a lavorare in realtà critiche, che possano venire a studiare e a lavorare in Piemonte inoltre, oltre che a rimanerci a lungo.”

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