Il progetto Confindustria per l’Italia: crescere si può, si deve

La crisi sta lasciando profonde ferite. Dal 2007 la produzione industriale ha perso il 25%, il tasso di disoccupazione è raddoppiato, il reddito per abitante è tornato ai livelli del 1997. È alto il rischio di distruzione della nostra base industriale.
È un’emergenza economica e sociale. Dobbiamo riconquistare la crescita, creare lavoro, riconoscere e riaffermare la centralità delle imprese, infondere fiducia negli italiani, restituire ai giovani un futuro di progresso, facendo ripartire subito l’economia e rilanciando l’industria, vera colonna portante del Paese. Servono scelte immediate, forti e coraggiose. Senza queste scelte nei prossimi anni non cresceremo di più dello 0,5% all’anno.
L’alternativa è il declino. Non possiamo e non vogliamo accettarlo. Ne va del futuro dei nostri giovani e delle nostre imprese. Dobbiamo tornare a crescere. È un imperativo. È un obiettivo raggiungibile.
L’Italia è uno dei grandi paesi industriali, le nostre imprese competono sui mercati globali, hanno fatto molti sforzi e sacrifici per mantenere le posizioni conquistate e guadagnare nuovi mercati. Sanno che possono fare ancora molto, per se stesse e a vantaggio di tutto il Paese. E reagiranno rapidamente, mobilitando tutte le loro forze e capacità, agli stimoli che verranno dalla terapia d’urto e dalle riforme che proponiamo. Metteranno in campo investimenti ed esportazioni, creeranno occupazione e reddito e, quindi, daranno impulso ai consumi.
Adesso più che mai hanno bisogno di un Paese che creda in loro e che le sostenga. L’Italia deve uscire dalla crisi e può farlo, ma perché questo accada c’è bisogno di azioni concrete e coraggiose.
Per questo, da classe dirigente responsabile, in vista dell’imminente tornata elettorale, proponiamo un progetto di ampio respiro, insieme ambizioso e realizzabile, fatto di azioni di rilancio economico e sociale del Paese. Un progetto complesso con proposte serie e obiettivi chiari e quantificati, perché non bastano poche singole misure per risollevare l’Italia e sottrarla alla stagnazione.
Questo progetto, che costituisce una vera e propria tabella di marcia fino al 2018, deve riportare il dibattito elettorale sui temi dell’industria e del lavoro, purtroppo trascurati in queste settimane.
È un disegno di politica economica, in cui tutte le misure si legano tra loro in modo coerente, e perciò va realizzato nella sua interezza, senza prendere ciò che più piace e trascurare quello che non fa comodo. Ciò vale per il sistema Confindustria, ma ancora di più e soprattutto per chi conduce la campagna elettorale e per chi governerà.
È un progetto che appare ambizioso, perché veniamo da una lunga crisi di bassa crescita e di continui rinvii delle decisioni. Ma se c’è stata poca ambizione negli ultimi 20 anni non dobbiamo rinunciare a puntare in alto, a obiettivi che sono alla nostra portata. È ora di voltare pagina.
Noi imprenditori per natura siamo ambiziosi e ottimisti, guardiamo al futuro e investiamo per realizzare i nostri progetti. Lo facciamo nelle nostre imprese. Vogliamo che i politici lo facciano per l’Italia intera.
È un progetto che non guarda al consenso, ma alla crescita, che dice la verità su quello che serve per il bene del Paese. Per essere di nuovo prospero e padrone del proprio destino e poter così contribuire a costruire un’Europa più forte e unita.

LE PRIORITÀ
1. La terapia d’urto
L’Italia ha bisogno di una vera e propria terapia d’urto, che deve segnare una forte discontinuità e
produrre effetti economici immediati. Dobbiamo rendere nuovamente competitive le nostre
imprese, abbattendo i costi e sostenendo gli investimenti. Occorre:
– dare ossigeno alle imprese con il pagamento immediato di 48 miliardi di debiti
commerciali accumulati da Stato ed enti locali, che sono debito pubblico occulto;
– tagliare dell’8% il costo del lavoro nel manifatturiero e cancellare per tutti i settori l’Irap
che grava sull’occupazione;
– lavorare 40 ore in più all’anno, pagate il doppio perché detassate e decontribuite;
– ridurre l’Irpef sui redditi più bassi e aumentare i trasferimenti agli incapienti;
– aumentare del 50% gli investimenti in infrastrutture;
– sostenere gli investimenti in ricerca e nuove tecnologie;
– abbassare il costo dell’energia.
Le risorse
Queste misure, se attuate tutte e subito, mobiliteranno 316 miliardi di euro in cinque anni.
COME
– rendendo efficiente la burocrazia e tagliando e razionalizzando la spesa pubblica;
– dismettendo e privatizzando una parte del patrimonio pubblico;
– armonizzando gli oneri sociali;
– riordinando gli incentivi alle imprese;
– aumentando del 10% l’anno gli incassi dalla lotta all’evasione fiscale;
– armonizzando le aliquote ridotte Iva in vista di rimodulazioni in ottica UE e per reperire
risorse per ridurre l’Irpef sui redditi più bassi.
2. Le riforme
A questa terapia si deve necessariamente accompagnare un processo di riforme da avviare
contestualmente e senza ritardo, sul quale ci aspettiamo che tutte le forze politiche prendano un
impegno, perché è ora di cambiare il volto del Paese. A partire dalle Istituzioni.
Abbiamo bisogno di un’Italia veramente liberale, di uno Stato che arretri nel suo perimetro, lasci spazio ad una sana concorrenza dei privati e che per primo applichi la legge, pagando i propri debiti e rispettando i diritti dei cittadini e delle imprese. È necessario:
– riformare il Titolo V della Costituzione riportando allo Stato le competenze su materie di interesse nazionale e riducendo i livelli di governo, per rendere finalmente gestibile il nostro Paese;
– riorganizzare la Pubblica Amministrazione, che deve essere al fianco delle imprese e non invece contro di loro;
– affermare lo stato di diritto, tutelando cittadini e imprese dagli abusi compiuti da qualunque organo pubblico;
– ridurre le regole, perché non è con più regole che si rilancia l’economia;
– semplificare per rimuovere tutti gli ostacoli al fare impresa;
– rendere effettivamente flessibile il mercato del lavoro;
– ridurre il peso del fisco sulle imprese e migliorare i rapporti tra i contribuenti e l’Erario.
Creare insomma un nuovo contesto, che assecondi le attività delle imprese e non le ostacoli.

GLI EFFETTI ECONOMICI
Con le nostre misure:
– il tasso di crescita si innalzerà al 3%; il Pil aumenterà in cinque anni di 156 miliardi di euro (al netto dell’inflazione), +2.617 euro per abitante;
– l’occupazione si espanderà di 1,8 milioni di unità, il tasso di occupazione salirà al 60,6% nel 2018 dal 56,4% del 2013 (+4 punti percentuali) e il tasso di disoccupazione scenderà all’8,4% dal 12,3% atteso per il 2014;
– il peso dell’industria tornerà al 20% del valore aggiunto dell’intera economia, dal 16,7% attuale, gli investimenti balzeranno del 55,8% cumulato (+66,4% quelli in macchinari e mezzi di trasporto, +44,7% quelli in costruzioni) e l’export si innalzerà del 39,1%, arrivando al 36,7% del Pil;
– il reddito medio delle famiglie che vivono di lavoro dipendente nel 2018 sarà più alto di 3.980 euro reali;
– l’inflazione rimarrà attorno all’1,5%; la produttività aumenterà di quasi l’1% medio all’anno;
– il deficit pubblico diventerà un consistente surplus, il debito cadrà al 103,7% del Pil, ben sotto il 111,6% richiesto dai patti europei (129,2% nel 2013, compresi 48 miliardi di debiti commerciali della PA alle imprese), la pressione fiscale scenderà dal 45,1% al 42,1% e le spese correnti al netto degli interessi dal 42,9% al 36,9%.

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