Naso all’insù per i piccoli Abbà (Guarda il video)

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IVREA
Naso all’insù verso quei balconi vestiti a festa. Sono quelli dei piccoli Abbà, che di lì a poco si sarebbero affacciati, acclamati dalla folla, che di rione in rione, ha saputo impreziosirsi di persone. È l’alzata degli Abbà, con il corteo preceduto dall’Ufficiale addetto alle bandiere a caratterizzare il pomeriggio delle ultime due domeniche di Carnevale; è il Carnevale che entra nel cuore della gente di una Ivrea che si risveglia al suono dei pifferi e tamburi; del profumo delle fagiolate; è il Carnevale gioioso, il Carnevale che si abbandona alle emozioni; che rivive con orgoglio il sopravvento del bene sul male. È una leggenda, una storia a lieto fine, fatta di ruoli, ciascuno dei quali è importante, dove nulla viene lasciato al caso, a partire dal giorno dell’Epifania, con il passaggio di consegne dal vecchio al nuovo Generale. E così è stato anche per le due domeniche che hanno preceduto l’uscita della mugnaia, con la presa in consegna da parte del Sostituto dal Gran Cancelliere, del Libro dei Verbali in piazza Freguglia; con la Prise du Drapeau, antica cerimonia militare in piazza di Città della consegna della bandiera all’Alfiere dello Stato Maggiore; con la presentazione dei carri da getto e la parata nelle vie del centro cittadino; con la riappacificazione degli abitanti dei rioni di San Maurizio e del Borghetto, sul Ponte Vecchio, resa possibile, così racconta la leggenda, dall’intervento delle donne alla fine del ‘700. Donne protagoniste di una leggenda che nella Vezzosa Mugnaia riscoprono la loro eroina. È Violetta, figlia di un mugnaio, che si ribella ai voleri del tiranno, uccidendolo. Rappresenta la libertà e la patria e indossa un abito che ricalca i colori della bandiera italiana. Attorno ad essa ruota l’intera festa, all’interno della quale l’alzata degli Abbà, con il corteo preceduto dalle note dei pifferi e tamburi, mentre gli aiutanti di Campo alzano il fanciullo dal balcone mostrandolo alla folla, rappresenta uno dei primi atti importanti che culmineranno nell’ultimo gesto: dare fuoco allo scarlo. A loro il compito di farsi portavoce di quella che qualcuno ha definito “un’autentica commedia dell’arte dove si fondono storia e leggenda, tradizione ed attualità in una grandosa festa collettiva”. E nell’accoglierli c’è l’affetto di un’intera città, oggi colorata dalle tante bandiere, a ricordare che presto tornerà ad essere di scena il berretto frigio, con la battaglia delle arance. Non ci sono maschere  ma figuranti in costume d’epoca che interpretano ruoli, non ci sono carri in cartapesta, ma carri da getto per nove squadre a piedi e tiratori su pariglie e tiri a quattro suddivisi su due percorsi: interno (piazza Ottinetti e piazza di Città”) ed esterno (Borghetto, piazza del Rondolino passando dal Lungo Dora e piazza Freguglia). L’abbruciamento dello scarlo in Piazza di Città è l’atto conclusivo della manifestazione. Nel momento in cui gli Abbà appiccano il fuoco, la Mugnaia, in piedi sul carro dorato, leva alta la spada simbolo del riscatto dal tiranno, fino a che la bandiera tricolore in cima allo Scarlo non viene interamente bruciata. E l’appuntamento sarà per il prossimo anno con “Arvèdze a giòbia ‘n bot”: le lacrime negli occhi e la festa nel cuore.
Karen Orfanelli

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